Skopje, Macedonia. Con l’economia in recessione e lo stipendio in ritardo di mesi Vele, un meccanico che lavora in un deposito ferroviario, lotta ogni giorno per poter comprare le medicine al padre malato di cancro. Quando casualmente trova in un vagone un pacchetto di marijuana, clandestinamente contrabbandata e nascosta su un treno in arrivo, lo ruba per fare una torta a suo padre, sperando di alleviarne i dolori e spacciandogliela come un nuovo trattamento sperimentale. Ben presto la voce sui miracolosi poteri curativi di Vele si diffonde e lui all’improvviso si trova messo alle strette da una strana coppia di gangster un po’ imbranati, alla ricerca della droga, e dai petulanti vicini che fanno la coda fuori dal suo appartamento per reclamare la ricetta della torta “dei miracoli”.
«Sono stato testimone della lotta della gente comune nel mio Paese. In quei tempi selvaggi, il neoliberismo in salsa balcanica aveva ridotto i nostri valori a una lotta per accaparrarsi quanto più denaro e quanto più potere possibile e — per citare un personaggio del film — il resto che andasse al diavolo. I farmaci erano insufficienti e gli ospedali privati traevano enormi profitti cercando di spremere al centesimo i cittadini malati e più disperati. I bambini morivano alla nascita e l’aria era inquinata. La gente cercava conforto nell’astrologia, nelle teoria della cospirazione e nelle scommesse. I guaritori fasulli si moltiplicavano: armati di pillole sbiancate dai poteri miracolosi, “acqua intelligente” e dolci alle spezie, offrivano il niente a cifre affatto inferiori. Ma ciò che costa meno pare di certo meglio, quando lo stipendio è in ritardo. Ironicamente, l’umorismo servì da antidoto a quei tempi grigi. Usato come una specie di judo dell’anima, la gente imparò a ridere delle proprie disgrazie, disinnescando le proprie tristi vite. Ed è così che nasce la mia storia: pagina dopo pagina, come due navi in rotta di collisione, l’umorismo e il dolore si sfidano in duello. L’umorismo è piùcome un sottomarino, che riemerge quando meno te lo aspetti e attacca ferocemente il dolore ipocrita, che con orgoglio solca le acque agitate dell’ingiustiza del vivere».
-Gjorce Stavreski -