Un cinéaste est né

Si sono mai visti sguardi più fissi, stralunati, allucinati? Occhi il cui colore si allarga sulle palpebre, illuminati da proiettori giganti, occhi pazzi d'amore. Occhi che hanno l'intelligenza, il bagliore fisso e iridescente generati unicamente dalla più grande delle furie. Una furia totale, ostinata, radicale, senza speranza di salvezza. La furia dell'amour fou che trasfigura e illumina, e che nulla tollera davanti a sé. Sguardi crudeli, svuotati da ogni intendimento, di una bellezza che riflette tutto ciò che vi si mette davanti, sguardi stregati. Si potrà dire: Gene Tierney è così anche altrove, nei film di Preminger, Tourneur, Mankiewicz. No, non del tutto. Mentre con questi registi Gene Tierney recita i suoi ruoli alla perfezione, trasparente come un cristallo senza macchie, facendo corpo unico con i suoi personaggi, con Stahl sembra resistere. Non presta nulla alla sua eroina, resta anzi sempre sovranamente se stessa, come seguendo una sorta di disprezzo fisico. Sarà rigidità, d'accordo: ma è proprio lei che si vede, forse per l'unica volta nella sua carriera. Il suo viso, i suoi occhi, gli abiti satinati che avvolgono un corpo astrattamente erotico – arrotondato, sensuale e frigido a un tempo. Fosse anche solo per questa ragione – oltre che rendersi conto di quanto Gene Tierney sia un'attrice unica, con quei tocchi eterei e aristocratici che affiorano sulle sue labbra –, Femmina folle è un film d'un godimento raro, selvaggio.

Tratto da «Cahiers du Cinéma» n. 327, settembre 198

di Louis Skorecki